Una sinfonia di emozioni: notturna ed alba sulla Serra delle Ciavole del 4 e 5 luglio 2009

Dove va a dormire il sole? Questa la domanda in partenza del piccolo Luca curioso con i suoi pochi anni di vivere la notte in montagna con la sua frontalina sul collo pronta ad accendersi alle prime ombre della sera. Ombre bagnate, ahinoi, che hanno fatto nascere ben altre domanade nei pensieri degli escursionisti e dei responsabili della notturna estiva del TFN – Matera, appuntamento annuale a cui non si può mancare.

Così “i venticinque” di questa sinfonia (uno più uno meno) intrepidi o incoscienti, fortunati o scapestrati, allenati e non, attrezzati e abbigliati alla meno peggio, iniziano a muoversi (pane, pomodori e salsiccie alla mano) dal Colle dell’Impiso verso la sola ed unica “capanna” del Gaudolino verso le 19,00 di sabato 4 luglio 2009: siamo nelle nuvole, la nebbia è già parte di ognuno di questi corpi sognanti e vaganti in questa montagna, luogo di grandi emozioni,che deve il suo nome, secondo la leggenda, al dio Apollo che nel suo girovagare ebbe modo di addormentarsi in questo paradiso battezzandolo, per il divino stupore, Pollino.

A dir la verità, l’incontro con alcuni escursionisti aveva fatto pensare, specie ai novelli del gruppo, non proprio al paradiso: un luogo, piuttosto, dove poter fare torrentismo in alta quota visti (ma soprattutto, sentiti) i fiumi che il temporale aveva lasciato al posto di sentieri e mulattiere. “Fiumi d’acqua” che al nostro passare eran già ritornati rigagnoli e che Luca e Sofia, i piccoli della notte, cercavano di attraversare, senza bagnarsi; ma non bagnarsi oggi è impresa ardua: qui tutto è bagnato di belle gocce rotonde che si divertono a venir giù dalle foglie e a ritornar su verso scarpe, ghette e calzettoni sotto i nostri passi: è questo il rumore della prima sinfonia: l’acqua, col cic-ciac di contrappunto allo scorrere continuo dei ruscelli.

Immersi in una “sinfonia delle campane” di podoliche che in grande quantità brucano pascoli teneri e freschi, arriviamo a Gaudolino col primo buio, con la luna che fa capolino dalla Dolina e dal Pollinello: genti diverse affollano il piccolo capanno, unico luogo asciutto. Il camino già accesso e fumante più del solito per via della legna (vi chiederete: “bagnata”?) regala a tutti coloro che sanno ancora emozionarsi un piccolo sollievo all’anima: altri escursionisti sono accampati nei pressi del capanno con i quali si scambiano un po’ di ricordi.

Sofia e Luca vogliono a tutti i costi respirare l’aria della capanna e sono li a far dentro e fuori, allungando il naso qua e la fra gli odori del bosco e del fuoco: altri ospiti inaspettati ci salutano al limitar del bosco: sono le lucciole e per qualcuno è la prima volta vedere come sono fatte, motivo -già questo con la luna “a lanterna” dritta sul Passo- per pensare di essere fortunati ad esserci, qui ed ora, a vivere queste emozioni.

Ma, finiti i primi stupori, è ora di mettersi al lavoro: così il meccanico-autoriparatore diventa eccezionale fuochista, l’ingegnere elettronico fa l’assistenza, gli altri con le frontali “alimentano” un fuoco che stenta “a prendere”: arrivano le prime bruschette che dalla capanna fumanti e profumate raggiungono l’esterno per smaterializzarsi in men che non si dica, tanto che qualcuno pensa che tali cibarie, in virtù di questo clima, evaporino. Il profumo inonda il passo quando anche le salsicce iniziano il loro percorso di smaterializzazione: il vino ha inebriato l’aria e alimentato il fuoco di queste anime della montagna, gli occhi sono briosi ed ognuno, anche il più silenzioso, qualche pensiero lo scambia volentieri.

Breve e veloce passata alla “spezzavummole” a riempire l’acqua e siamo più o meno tutti distesi o poggiati in un cantuccio a trovare qualche minuto di sonno, mentre le due mascottes della notte (Sofia e Luca di sette e cinque anni) dormono nella capanna nei loro sacchi a pelo: la maestosa “sinfonia della luna piena” (provocata da Carmine -il caro custode della capanna- seguito dal nostro “senza c’libr’ ” dal cappello rosso, per l’occasione trasformatosi in “mastro arrosto”, che hanno movimentato il bestiame) da’ il “LA” alla sinfonia sommessa di mastro arrosto che intorno al fuoco inizia a raccontare la sua vita “at(tt)letica” sempre condita da intermezzi, aneddoti su cose, persone … animali.

Il crepitio del fuoco ci coccola dolcemente ed è così che si arriva alla fatidica ora della seconda tappa: ci aspetta una bella salita prima di arrivare a toccar le stelle: sono le due ed i due piccoli sono già pronti, zaino in spalla e frontale accesa, a tirare il resto del gruppo sonnacchioso e intirizzito.

Ma all’inizio del sentiero piccolo incidente: gli occhiali del capogita si rompno, “bum, di colpo spezzati in due”; ecco allora entrare in gioco le forze tecniche del gruppo: l’ingegnere edile si trasforma da restauratore in riparatore e dopo aver studiato una braga in “scotch”, abilmente sistemata per tenere insieme le due lenti, ripassa nelle mani di Stephan gli occhiali per il collaudo. Ok, collaudo superato, Stephan inizia inesauribile ed inarrestabile (ma sempre attento al gruppo) la sua marcia in salita verso il valico. Siamo a quota 1800 ed il gruppo è un serpente luminoso nel bosco: gioia, fango, scivoloni e cadute sono con noi ad alimentare questa sinfonia di voci sommesse lungo il sentiero. Sono le tre passate da un po’, la luna ci ha da poco lasciato è siamo sotto un coperta di stelle che ognuno non finisce mai di guardare: “i piani” – albergo a mille stelle, come qualcuno ha suggerito- come al solito ci regalano stupore a 360 gradi. La temperatura scende ora fino a 7-8° gradi circa e le anime iniziano a sentire, oltre alla gioia, la fatica e … qualche rana nelle scarpe!!! Già, il sentiero battuto di foglie umide e poi l’erba bagnata hanno pian piano “allentato” la tenuta delle pedule più leggere lasciando in fine strada all’acqua nelle scarpe; Luca, pur invaso dallo supore di questo mare di stelle mai visibile da città troppo illuminate, tiene forte la mano di papà: il motivo è semplice: ha paura che gli scivoli o cada nell’erba bagnata, per cui lo sorregge forte anche se un po’ assonnato e affaticato. Arrivano le quattro e ai 1900 metri bisogna cantare un “tanti auguri” a chi proprio in quest’ora, qualche anno fa, nasceva ed oggi è qui a provare l’emozione di una notturna. Si riparte ed il gruppo inesorabilmente si allunga, arranca ma non molla sulle prime pendici delle Ciavole: ormai il profilo delle vette è nitido così come nitida è la prima stella del mattino, Venere, dritta proprio sulla Serra delle Ciavole quasi ad indicarci il cammino. E’ davvero uno spettacolo che non si può raccontare ma solo vivere: rispondere ora a chi chiede se ne valga la pena sarebbe troppo facile. Sofia con Donato inizia la sua personale “cavalcata delle Ciavole”: affronta nel mezzo del lungo gruppo le pendici e poi l’erta della serra fra i maestosi loricati che la guardano; Luca, invece, è costretto a trascinare per mano mamma e papà che continuano a richiedere soste ristoratrici: così nelle soste ha il tempo per far notare che la notte ha lasciato il posto alla luce di tutti i colori, che i primi uccelli annunciano con una nuova sinfonia il giorno, che bisogna sbrigarsi per vedere il letto dove dorme il sole (sempre che non sia andato in discoteca!).

Adesso Luca si muove a tirare Rocco (ringraziamenti non saranno mai abbastanza) negli ultimi 60-70 metri che lo separano dalla cima: sono le cinque passate da qualche minuto e, immerso fra cieli rossi e azzurri, il gruppo è sulla vetta, chi “insaccato” nel proprio sacco a pelo, chi ancora in piedi a respirare e a coprirsi pian piano dal vento che suona adesso la sua sinfonia nei colori dell’alba.

La piccola Sofia è ora avvolta nella coperta passatagli per l’occasione dalla gentilezza infinita di Nicola: ognuno ha offerto qualcosa con gesti, parole od oggetti a questi escursionisti in erba, piccoli amanti della montagna.

Ma ecco, ormai, ci siamo: il primo piccolo semicerchio rosso inizia a sbucare nella foschia che anche quest’anno non ci lascia vedere il giaciglio del sole: ciononostante tutto è bellissimo.

Si, ma Luca? Luca adesso suona la sinfonia del “ riposo del Guerriero” impacchettato in un sacco a pelo avvolto in una splendente carta regalo tutta dorata: i suoi occhietti vispi, nascosti sotto lenti tanto spesse, dovranno scoprire ancora il letto del sole: sarà, così, per un altra volta.

Foto di gruppo passate le 7,00 del mattino, ancora un po’ di riposo a girovagare per la serra e poi pronti per la discesa, rinfrncati ed attenti alle insidie della discesa ripida ed ancora umida: i piani ci regalano il sole già caldo e la ennesima vista degli stupendi cavalli che pascolano: Sofia, sempre zaino in spalla, si diverte ad osservare il puledrino che ciuccia il latte dalla sua mamma, spettacolo difficilmente godibile alla stessa maniera se chiusi in casa: ogni volta riscopriamo come questa montagna sia davvero un piccolo paradiso.

Deve aver piovuto davvero tanto: piccoli stagni sono presenti qua e la’ e gran parte dell’erba nasconde acquitrini a ricordare che fino a due secoli fa nella parte più bassa dei piani di Pollino doveva esserci un lago che è poi scomparso per la riapertura di alcuni inghiottitoi che hanno lasciato passare l’acqua agli strati inferiori del terreno.

Dopo una piccola sosta al limitare del Piano Toscano ci rifocilliamo con la colazione “pasquale” offerta da Rocco e dalle dissettanti albicocche di Santino, prima di affrontare le insidie della “spezzagambe” oggi particolarmente “sciiii…volosa”.

É andata anche oggi: il sole alto ci vede arrivare e superare il piccolo affluente del Frida che arriva dal Gaudolino e poi l’ultima salitella che ci condurrà fino al passo dell’Impiccato dove abbiamo lasciato le auto: sono le undici e tutti, un po’ assonnati e stanchi, iniziamo a sistemarci per il rientro dentro abiti freschi e asciutti: anche questa è stata una esperienza fantastica, da conservare nel territorio dei ricordi, quello che nessuno potrà mai danneggiare …

“… se ne è valsa la pena?” (per rispondere ad una domanda di un amico escursionista calabrese)

Credo proprio di si, ma per crederci, bisogna spogliarsi delle proprie certezze, armarsi di tutti i propri limiti e provare a conviverci: il resto lo farà il cammino.

Provare per crederci. Alla prossima.

 

G. Perrone