4-5 luglio – sogno di una notte di trekking

Quasi dodici ore di fila ho dormito. Non accadeva da quando ero ragazzo. Quale fatica mi ha indotto un sonno così lungo? L’aver saltato una notte di riposo e invece del letto aver preferito camminare nell’erba bagnata tra le vette del Pollino, sotto un tetto di stelle.

Ma procediamo con calma e dall’inizio, cioè da sabato 4 luglio.

Ottima l’idea di Stephan e di Angelo di partire nel primo pomeriggio in modo da effettuare parte dell’escursione con la luce e di arrivare al punto di sosta abbastanza presto per poter tranquillamente mettere qualcosa sotto i denti e riposare, in attesa della più impegnativa seconda parte del percorso.

D’altra parte, in questo inizio di Estate straordinariamente piovoso, con le giornate che puntualmente portano forti temporali pomeridiani, un’escursione di notte e rientro nella mattina successiva è l’unico modo di andare in montagna evitando di finire sotto l’acqua e soprattutto sotto il pericolo dei fulmini.

Ma della dimensione del temporale abbattutosi da poco ci siamo accorti solo guardando preoccupati le acque copiose del Frido dal ponte dopo aver superato San Severino, mai così irruente e scure di fango. L’acqua scorreva lungo e attraverso la strada tra la valle del Frido e la valle del Mercure, formando insoliti ruscelli ed ampi stagni. Insieme al pietrisco spostato dai margini al centro della strada dalla forza dell’acqua erano il segno di un temporale ancor più violento man mano che si saliva verso la montagna.

Nonostante i commenti poco incoraggianti di un gruppo di escursionisti di ritorno bagnati fradici che abbiamo incontrato all’Impiso, il desiderio di una bella scarpinata e le previsioni meteo che indicavano una notte ed una mattina seguente tranquille ci hanno spinto ad incamminarci senza troppe incertezze.

Appena superati i primi faggi lungo la strada forestale, proprio sul Colle dell’Impiso, ecco che la nebbia si è diradata aprendo ampi squarci all’azzurro del cielo. Nel voltarmi a guardare i raggi dorati che alle sette del pomeriggio filtravano tra le fronde, ho subito pensato alla mia macchina fotografica che purtroppo ho dimenticato a casa. Ho dovuto impiegare la sola pellicola dei miei occhi senza byte di memoria da mostrare per impressionare i tanti momenti del trek, che anche questa volta non hanno lesinato emozioni.

Ma anche gli altri sensi partecipavano alla raccolta delle emozioni, in particolare l’udito: canti di uccellini a me sconosciuti ci salutavano dalle fronde più alte, l’incessante scroscio delle acque accompagnava il nostro vociare e gli scarponi che affondavano nell’erba e nel fango.

Al Colle Gaudolino siamo arrivati al crepuscolo, quando la nebbia oltrepassava il confine lucano per discendere nella valle del Coscile. L’enorme sagoma regolare e tondeggiante di Serra del Prete si stagliava attraverso le nuvole interposte in movimento, regalandoci un disegno sfumato di rara bellezza mentre i campanacci delle vacche risuonavano potenti. Le vacche sembravano ferme eppure si facevano sentire come un esercito. Sfilavano davanti a me, scomparendo e ricomparendo tra brani di nebbia, i miei compagni, agitando le luci in direzione del capanno. Dal crinale del Monte Pollino ho visto sorgere la luna come una dea, che ha inondato il piano del suo effluvio d’argento.

Il capanno era però già occupato ed abbiamo dovuto accendere un fuoco vicino, nonostante la legna secca. Nel capanno c’era Carmelo, l’uomo che l’ha voluto e realizzato sostituendolo al vecchio capanno dei pastori, troppo malandato. Carmelo, baffi scuri e voce da Marlon Brando nel Padrino, ci ha permesso di usare il camino per preparare le bruschette e arrostire la salsiccia. La sua generosa accoglienza ho potuto constatarla anche quando è uscito in piena notte con una mazza di scopa in mano per allontanare le mucche e permetterci di dormire senza l’incessante rumore dei campanacci.

Nel mezzo del cammin di nostra gita

ci ritrovammo per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita.

Per la verità, in montagna, la via non è mai diritta e di selve oscure se ne incontrano molte. Particolarmente suggestiva al buio rischiarata dalle lampade è quella che abbiamo attraversato, senza smarrirci, ai piedi del Monte Pollino per raggiungere Piano Toscano, dopo essere ripartiti alle due di notte. Il fondo fangoso in pendenza era particolarmente scivoloso ed insidioso e bisognava fare costantemente attenzione a non cadere. Eravamo investiti da sottili gocce d’acqua da farci temere che riprendesse a piovere. Ma erano solo le foglie a piovere l’acqua.

       E quindi uscimmo a riveder le stelle.

E lo spettacolo del firmamento era davvero straordinario. La luna era già tramontata e dunque, se da un lato non potevamo più godere della sua luce argentata, potevamo però ammirare le profondità siderali dell’universo. La Via Lattea, il latte sfuggito ad Era, fasciava di bianco la volta stellata.

Nel silenzio oscuro della montagna, il nostro drappello appariva come un piccolo serpente di luci ondeggianti che s’inerpicava su per i piani.

La temperatura segnata dal mio orologio nuovo è scesa fino a 8 gradi centigradi, ma la fatica della salita ci ha presto scaldati ed abbiamo cominciato a sudare. Per fortuna non c’era vento e potevamo alleggerirci senza timore di prendere freddo.

Ho visto Anna e Rosanna mettere a dura prova il loro primo entusiasmo per la montagna. Ma tutti siamo arrivati in cima, seguendo Venere, la stella del mattino, che è spuntata come un faro alle spalle della Serra delle Ciavole.

Le luci dell’aurora hanno rischiarato il cielo e potevamo intravedere la linea della costa calabra a destra del Monte Sellaro prima ancora di vedere il sole, nascosto dalla consueta bruma all’orizzonte. Intorno si distingueva la silhouette degli altri monti, dalla Manfriana sulla destra alla Timpa di San Lorenzo, dalla Falconara a Toppo di Vuturo fino a Serra di Crispo sulla sinistra. Ai nostri piedi si stendeva la scura coltre della Fagosa mentre più distante, sulla sinistra, restava ancora per poco in veglia il capannello di luci dell’abitato di Terranova.

Poi è spuntato il disco rosso del sole ed io mi sono eclissato nel mio sacco a pelo precariamente disteso al riparo delle rocce.

Siamo rimasti per almeno un’ora in vetta, chi a riposare, chi a fare colazione con quel che restava delle provviste. Sotto il disco accecante del sole brillava di riflessi il mare di Metaponto.

Nonostante la stanchezza e il sonno, l’entusiasmo mi ha portato a proporre di allungare la via del ritorno percorrendo tutta la cresta di Serra delle Ciavole fino al Piano di Acquafredda per poi ritornare passando dal Piano di Pollino. Ma il buon senso del gruppo ha prevalso e siamo ridiscesi per la via più breve dell’andata.

Francesca è stata l’ultima ad abbandonare la cima. Nei suoi occhi azzurri albergava il desiderio di restare ancora a contemplare la cresta che corre lontano insieme ai loricati. Il vento soffiava lieve e a sprazzi e tutte le altre cose erano così lontane che quasi sembrava di volare.

La luce del giorno ha poi rivelato i colori e tutta la bellezza, di notte solo immaginata, dei prati ammantati di Gentiana lutea, di cui sentivamo forte l’odore. I cavalli e le mucche la evitano per l’amaro sapore ed i piani si sono riempiti del suo giallo. Tante anche le viole, le orchidee e i fiordalisi, oltre a ciuffi di margherite.

Ai piedi della Serra un inghiottitoio custodisce ancora un deposito di ghiaccio, nero e nascosto ai raggi del sole. La parete del Monte Pollino mostra invece due macchie bianche, relitti delle abbondanti nevicate dello scorso Inverno.

Per il ritorno siamo passati dalla Fontana di Rummo, dove ho placato la mia sete di purezza e riempito di freschezza la mia bottiglia.

Nell’ultimo tratto del ritorno, Pino si è rivolto a suo figlio Luca, di appena cinque anni, che esausto chiedeva giustamente di fermarsi per riposare. Gli ha chiesto se avesse voglia di partecipare alla prossima escursione notturna. Luca ha esitato un po’, poi ha risposto di sì. Gli ho domandato se a Stephan, che ha guidato l’escursione, volesse proporre di modificarla, facendola più corta o più lunga. Senza esitare ha risposto: più corta. Luca, che per un passo mio ne fa due, è come se avesse percorso il doppio dei chilometri. Merita davvero considerazione, come ne merita Sofia, di due anni più grande, anche lei con noi nella notte del trekking.

Dalla cima con me ho portato, legato allo zaino, un pezzo di radice ormai secca, dal disegno sinuoso ed accattivante. Avevo chiesto il permesso di portarlo via ad un pino senza più lorica né vita e tuttavia tuttora imponente che mi osservava immobile, ma non sono sicuro se mi abbia detto di sì oppure se io mi sia soltanto immaginato di sentire il suo consenso. Fatto sta che alla fine mi sono distratto ed il serpente di legno mi è sfuggito ed è rimasto alla sua terra. A me sono rimasti due scarponi inzuppati di acqua e il sogno magnifico di una notte di trekking.

Cosimo